Tutti coloro che sono impegnati nel compito di educare i giovani, trovano sempre in don Bosco un validissimo punto di riferimento e di confronto.

Prima essere interpellato sul “che cosa” o sul “come” dell’educazione, don Bosco continua a offrire un messaggio preziosissimo che potremmo riassumere così: educare è fondamentale, educare è possibile, educare è bello!

La forza del suo messaggio, come quello di molti altri grandi educatori, ha la propria radice nella ricchezza dell’esperienza che l’ha generato e nell’autenticità della testimonianza che l’ha sostenuto.

Don Bosco - per usare espressioni molto immediate - è uno che… ci ha messo la faccia per primo e che ci è sporcato le mani! Don Bosco è credibile perché sincero, autentico, capace di stare con giovani (e con gli educatori!) come “padre” e come “maestro” e, allo stesso tempo, come “amico”.

Insomma, di don Bosco ci si può fidare! Era un uomo con il quale tanti giovani e adulti si con-fidavano e al quale si af-fidavano, trovando in lui una persona capace di capire il loro passato, di riconoscere il valore del loro presente e, infine, di far immaginare e intravedere loro un futuro significativo e pieno di speranza.

Lo stesso papa Francesco parla così di don Bosco:

[Egli] portava la gioia e la cura del vero educatore a tutti i ragazzi che strappava dalle strade, i quali ritrovavano a Valdocco un’oasi di serenità e il luogo in cui apprendevano ad essere «buoni cristiani e onesti cittadini». È lo stesso clima di gioia e di famiglia che ho avuto la fortuna di vivere e gustare anche io da ragazzo frequentando la sesta elementare al Colegio Wilfrid Barón de los Santos Ángeles, a Ramos Mejía. I salesiani mi hanno formato alla bellezza, al lavoro e a stare molto allegro e questo è un carisma vostro (prefazione al libro “Evangelii gaudium con don Bosco”).

Don Bosco, dunque, ci può essere di aiuto per mettere ulteriormente a fuoco il tema del Sussidio 2019 di Oragiovane. Ripercorrendo i verbi e le finalità delle quattro tappe che ritmano l’itinerario formativo del Sussidio (Ricevere, Ricercare, Scoprire, Rifare), è possibile rileggere l’intera esperienza di don Bosco per riscoprire alcuni preziosi spunti educativi.

 

“Ricevere” e “Ricercare”: i sogni

La sua testimonianza (soprattutto quella che emerge nelle Memorie dell’Oratorio) esprime costantemente la profonda consapevolezza di essere stato destinatario di doni che, a poco a poco, furono compresi e accolti. A partire dal sogno dei 9 anni[1] e poi in altre occasioni, il giovane Giovanni Bosco intuisce e, con l’aiuto di alcune guide, riconosce sempre più chiaramente la tenerezza e la predilezione di Dio che si manifesta a lui soprattutto attraverso la “bellezza” delle figure di Gesù e di Maria. Giovanni si sente accolto e accompagnato, pur tra le fatiche di un’infanzia difficile, a decodificare quella che sarà la sua missione. Ci riuscirà poco per volta, grazie soprattutto - è lui stesso a ribadirlo - alla presenza di persone che lo sostengono, a cominciare da quella, discreta e forte al contempo, di sua mamma Margherita.

Sarà soprattutto lo sguardo ad essere educato, uno sguardo che diventerà uno degli aspetti caratteristici della sua personalità. Una persona che lo conosceva riferiva: “Quel che in don Bosco più spiccava era lo sguardo, dolce ma penetrantissimo, fino alle profondità del cuore, cui appena si poteva resistere fissandolo" (Memorie Biografiche VI, 2-3)[2].

I sogni di don Bosco sono testimonianze preziose che permettono di cogliere come la sua esperienza interiore corrisponda ad una appassionata ricerca della “missione” a cui Dio lo ha chiamato. Per don Bosco, l’incontro con Dio non può prescindere da un impegno concreto e tenace per il bene dei più piccoli e dei più poveri.

[1] Cfr. Le Memorie dell’Oratorio di San Giovanni Bosco, a cura di Teresio Bosco, Leumann 1985, pagg. 3-4 e 47-48
[2] Cfr. Bruno Ferrero, La bellezza di don Bosco” - Le qualità dell'educatore,  Relazione alle XXXI Giornate di spiritualità della Famiglia Salesiana, 19 gennaio 2013

 

“Scoprire” e “Rifare”: un punto accessibile al bene

La bellezza del dono ricevuto diventa impegno per rintracciare, scoprire e mettere a frutto la “bellezza” e la “bontà” che don Bosco coglieva nelle persone.

A partire dall’incontro con i giovani in carcere e con un povero ragazzo “immigrato” a Torino[1], Don Bosco diventa, per così dire, esperto nel valorizzare il “buono” che è presente in ogni essere umano. Anzi, proprio su quell’elemento positivo si potrà far leva per costruire insieme con lui il bene. Il “sistema preventivo”[2] di don Bosco si fonda proprio su questo convinzione:

“In ognuno di questi ragazzi, anche il più disgraziato, v'è un punto accessibile al bene. Compito di un educatore è trovare quella corda sensibile e farla vibrare”.

In ogni giovane don Bosco sa intuire potenzialità e aspirazioni; di ognuno sa mettersi in ascolto; a ciascuno sa offrire parole pro-positive. Per il futuro dei suoi giovani don Bosco “inventa” oratori e scuole professionali; incontra datori di lavoro e redige concretamente contratti di apprendistato. Soprattutto, don Bosco fa tutto questo per consentire ad ogni giovane di rendere la propria vita un autentico capolavoro, a partire dalla cura per la propria “anima”: l’attenzione alla vita interiore dei singoli e, insieme, al “clima spirituale” di un contesto formativo erano due priorità del progetto educativo di don Bosco. Il coinvolgimento di tanti adulti e giovani nella sua missione, esprime non solo le grandi doti organizzative del santo torinese, ma innanzitutto la sua capacità di smuovere energie, di coinvolgere la “libertà” delle persone in progetti di ampio respiro, di trasmettere loro l’urgenza di “salvare anime”, cioè di dare (o restituire) dignità a tutti e di comunicare a tutti le parole “belle” (la “buona notizia”) del Vangelo. “Scoprire” e “Rifare” il bello significava per don Bosco tenere insieme due aspetti complementari: la dimensione interiore (o “contemplativa”, cioè l’educazione della coscienza e l’incontro con Dio nella preghiera) e l’impegno attivo ed efficace (il lavoro, la “missione”). In don Bosco questi aspetti erano inscindibili, tanto che era possibile affermare che il suo impegno coincideva con la sua preghiera e che la sua preghiera coincideva con il suo lavoro.

 

“Fare il bene”

Per don Bosco era proprio questa la cosa importante: fare il bene. E in questa semplice espressione troviamo riformulata e sintetizzata anche una delle finalità del presente sussidio. “La bellezza del servizio” consiste proprio nell’impegno a rendere sempre più “umano” il mondo in cui viviamo, avendo cura della bellezza che ci è stata donata, valorizzando le relazioni e le cose belle in cui essa si manifesta e impegnandoci per “crearne” sempre di nuove. “Servire la bellezza” (e dunque “educare alla bellezza”[3]) è essenziale per rimettere al centro, nello stesso tempo, la cura dei singoli e delle comunità, l’attenzione ai sogni e alle concrete esigenze delle persone, la dimensione della gratuità e un autentico riconoscimento dell’impegno e del lavoro di tanti.

Lontano dunque sia da un vago sentimento filantropico, sia da un mero attivismo, dire che è importante “fare il bene” significa prendersi cura dell’umano. E’ l’atteggiamento che da senso alla vita e, allo stesso tempo, è l’atteggiamento… di Dio che, in Gesù, ci ha indicato gesti e parole perché tutti gli uomini “abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza” (Giovanni 10,10). Don Bosco ricorda, in modo originale, alcuni tratti di Gesù, “il pastore “buono/bello” (l’evangelista usa proprio il termine kalós) che offre la vita per le pecore”.

 

Santità

Don Bosco, “profondamento uomo”[4], ha saputo vivere una “santità” radicata nella sua umanità. Anzi, la stessa “santità” non è concepibile senza considerare i tratti della sua “umanità”. Non solo: don Bosco ha fatto della “santità” il tratto caratteristico e il fine ultimo di ogni suo progetto educativo. Aveva il coraggio di proporla ai più giovani, in modo semplice ma determinato, intuendo che si è santi nel quotidiano e che, come ricorda papa Francesco, la santità è anche e soprattutto quella “della porta accanto”. Don Bosco, in altra parole, ha saputo generare e dare visibilità ad una idea di Chiesa accogliente  (“inclusiva” diremmo oggi) e capace di futuro perché non ripiegata su un modello di santità intimistico o individualistico, ma comunitario:

“Il Signore, nella storia della salvezza, ha salvato un popolo. Non esiste piena identità senza appartenenza a un popolo. Perciò nessuno si salva da solo, come individuo isolato, ma Dio ci attrae tenendo conto della complessa trama di relazioni interpersonali che si stabiliscono nella comunità umana: Dio ha voluto entrare in una dinamica popolare, nella dinamica di un popolo (Gaudete et exsultate, 6)

La santità è la “bellezza” del cristiano, le cui opere sono belle in quanto scaturiscono come risposta e affidamento alla misericordia di Dio. La santità cristiana non ha un carattere legale o giuridico, ma eucaristico: è risposta alla charis di Dio manifestata in Cristo Gesù. Ed è segnata perciò dalla gratitudine e dalla gioia; il santo è colui che dice a Dio: "Non io ma Tu''. Questa ottica di grazia preveniente ci porta ad affermare che altro nome della santità è bellezza (E. Bianchi, Le parole della spiritualità, Rizzoli, p. 23)

[1]Le Memorie dell’Oratorio…”, pagg. 42-44.
[2] Cfr. il testo in cui don Bosco espone Il Sistema preventivo.
[3] Cfr. ad esempio, Simone Porro, Educare alla bellezza, Elledici, 2018.
[4] Cfr. l’articolo molto bello di Pietro Brocardo, Giovanni Bosco: profondamente uomo. È consultabile anche il testo dell’intero studio di Brocardo, Don Bosco: Profondamente uomo profondamente santo.